2022: Odissea inflattiva? Seconda puntata
Facendo una ricognizione ed iniziando dalle borse americane, la performance migliore è stata registrata dall’S&P 500 con un -4.9% mentre il Nasdaq ha chiuso con un -7,7%. In Europa l’indice azionario Euro Stoxx 50 ha ceduto il 9,37%. A queste si sono aggiunte il -5.6% dei titoli di stato USA ed il -7.8% del credito investment grade.
Uno dei pochi comparti positivi è stato quello delle materie prime che, complice la guerra in Ucraina che ha messo sotto pressione un’offerta già in difficoltà, avanza di un +25%. Il mercato obbligazionario, invece, ha registrato un calo molto marcato. Quest’ultimo sconta la politica aggressiva soprattutto della Banca Centrale Americana (FED) che, però, si è inasprita a sorpresa all’inizio di quest’anno. Partendo dal presupposto che nessuno possiede la sfera di cristallo, dobbiamo sottolineare che, spesso, anche le Istituzioni, che dovrebbero essere una bussola per i naviganti, perdono le coordinate…
Quella Cinese rimane ancora molto accomodante (ricordate il quasi default della società Evergrande? Lo scoppio della bolla del comparto immobiliare ed il relativo salvataggio sembrano avere più importanza, al momento, sul controllo dell’inflazione) mentre la Banca Centrale Europea, senza smentirsi, ha scelto il percorso meno aggressivo iniziando a diminuire gli acquisti di titoli. Siamo passati dalla fase concertativa, vista nella risposta al Covid da parte di tutti gli Istituti del globo, alla mancanza di organicità. Non ci sembra un bel segnale.
Cercando rifugio nella statistica, il grafico seguente (in cui vengono confrontati lo Standard & Poor’s 500, il più importante indice azionario USA e il FED fund rate, ossia il tasso d’interesse a brevissimo termine (overnight) utilizzato nei prestiti tra banche statunitensi), sembra suggerirci che nella storia i problemi per l’azionario americano si siano palesati soprattutto quando la Federal Reserve ha tagliato i tassi d’interesse.
Assodato che la Banca Centrale Americana ha confermato di voler proseguire ad alzare i tassi, dovremmo stare “tranquilli”. Tuttavia, l’esperienza maturata da tutti coloro che vivono quotidianamente i mercati finanziari insegna che ogni periodo storico ha un suo percorso peculiare.
Quello che ci vede testimoni porta con sé inflazione, guerra, rallentamento della crescita e covid in recrudescenza in alcune aree del pianeta.
In Cina, ad esempio, dove l’economia sta affrontando la prova più difficile dallo scoppio dell’epidemia: l’emergenza di nuove varianti sta mettendo a dura prova la politica di tolleranza zero di Pechino, causando lockdown sempre più severi.
Le autorità di Shanghai, infatti, hanno annunciato a fine marzo, la chiusura a turnazione per il distretto finanziario cittadino di Pudong e per altre nove aree.
Le persone delle zone maggiormente colpite dovranno rimanere in casa ed il trasporto pubblico sarà sospeso fino al primo aprile. È ovvio che questo stop provocherà ulteriori ‘colli di bottiglia’ nella catena di approvvigionamenti, frenando così uno dei distretti industriali più vasti del mondo.
L’aumento dei prezzi prosegue grazie anche al conflitto fra Russia ed Ucraina, alle relative sanzioni
e trova terreno fertile anche dalla mancanza di politiche governative efficaci nel ridurre i rallentamenti causati dalla supply chain.
Le catene di approvvigionamento globali attraverso le quali passano la maggior parte delle merci che usiamo per la nostra vita quotidiana sono state progettate per essere economiche, ma non necessariamente resilienti. Che significa?
Tutti i prodotti che utilizziamo giornalmente sono composti da più parti. Queste, nella maggior parte dei casi, provengono da varie parti del globo. La globalizzazione della produzione soffre dell’aumento dei prezzi delle materie prime, dell’aumento dei costi delle spedizioni e della loro affidabilità.
Siamo incappati, di conseguenza, nella tempesta perfetta e questo problema non è né di facile soluzione né si può ovviare in breve tempo.
Cosa possono fare le aziende? Irrobustire le catene di approvvigionamento costruendo nuove fabbriche (riducendo la loro percentuale di globalizzazione), aumentare i fornitori e, ove possibile, incrementare i canali dei materiali.
Vi sembra lo stesso approccio dell’Europa? Dispiace dover “criticare” il nostro Paese ma siamo quello che utilizza maggiormente il gas russo. Il 40% dell’elettricità italiana è prodotta grazie al gas proveniente da Mosca.
Questo impatta sulle imprese e poi sui consumatori quando le prime non riescono più a gestire l’aumento del prezzo inglobandolo al loro interno e, inevitabilmente, ribaltandolo.
Risultato: l’Europa in primis stima il PIL al ribasso rispetto alle aspettative di fine 2021.
Proseguiamo a prediligere portafogli di qualità trovando valore e difesa anche in quei private equity ed in quei club deal specializzati nelle transizioni tecnologiche che sono e saranno irrinunciabili sfide che, alla luce degli ultimi accadimenti, non possono essere più posticipati.
DOWNLOAD: Pensieri indipendenti – Primo trimestre 2022
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